Probabilmente il primo sito di ultrafinanza (o di finanza da ultramaratona) della storia, dove le mie due passioni si incontrano in una esplosione di sentimenti squisitamente umani poi applicati alla razionalità dei prodotti finanziari, con un tocco di ironia e senza mai perdere di vista la serietà degli argomenti trattati. Come investitore professionale non sono alla ricerca del profitto, ma della qualità nel profitto: che deve essere socialmente ed ambientalmente sostenibile. La mia è una, letteralmente, costante corsa contro il tempo e ogni passo compiuto in montagna avvicina la mia strategia a quella perfezione emotiva nella gestione del portafoglio che soltanto una via "Naturale" degli investimenti può regalare.

giovedì 16 maggio 2024

Campagna ALL INCLUSIVE


Lo sport è universalmente riconosciuto come un potente mezzo di inclusione sociale, un'opportunità per persone di diverse età, background e abilità di unirsi, condividere esperienze e superare sfide insieme. Tuttavia, nonostante i progressi nell'ambito dell'inclusione, i portatori di handicap spesso si trovano ad affrontare barriere fisiche e sociali che limitano la loro partecipazione alle gare sportive. È essenziale valorizzare l'importanza dell'inclusione dei portatori di handicap nelle gare sportive e promuovere un ambiente che accoglie e sostiene la partecipazione di tutti.

Le associazioni che sceglieranno di aderire a questa campagna e quindi di contrassegnare le loro gare con il simbolo All Inclusive lanceranno un messaggio specifico ed allo stesso tempo chiaro:

ogni persona merita di competere e vogliamo celebrare la diversità e l'abilità di chiunque decida di mettersi “in gioco” offrendo a qualunque iscritto l'accesso alle nostre manifestazioni.

Ogni individuo, indipendentemente dalle sue capacità fisiche o cognitive, ha il diritto di partecipare pienamente e ugualmente alle gare sportive. La diversità è ciò che rende lo sport così speciale: non si tratta solo di competere per la vittoria, ma di celebrare le capacità uniche di ogni individuo e di trovare forza nella nostra diversità. Includere i portatori di handicap nelle gare sportive non solo permette loro di sperimentare la gioia della competizione, ma promuove anche la consapevolezza e l'accettazione dell'abbondanza di abilità e talenti che esistono nella nostra società.

L'Effetto Positivo dell'Inclusione nello Sport è quello di motivare ed inspirare anche le persone “normali”. L'inclusione dei portatori di handicap nelle gare sportive infatti non solo beneficia direttamente gli atleti coinvolti, ma ha anche un impatto positivo sull'intera comunità sportiva. La presenza di atleti con disabilità nelle competizioni sportive ispira e motiva gli altri a superare le proprie sfide e a perseguire i propri obiettivi con determinazione e impegno. Inoltre, l'inclusione promuove un senso di solidarietà e collaborazione tra gli atleti, creando un ambiente di sostegno e rispetto reciproco che arricchisce l'esperienza sportiva per tutti.

Una gara trail All inclusive significherà quindi un'organizzazione volta a promuovere un'infrastruttura accessibile e inclusiva che aiuti a superare le barriere, fisiche, morali e sociali anche in uno sport apparentemente difficile come quello della corsa in montagna.

Affinché l'inclusione dei portatori di handicap nelle gare sportive diventi una realtà, è fondamentale superare le barriere fisiche e logistiche che possono ostacolare la partecipazione. Ciò significa garantire l'accessibilità agli impianti sportivi e alle attrezzature, nonché fornire il supporto e le risorse necessarie agli atleti con disabilità per competere in condizioni di parità. Inoltre, è importante promuovere la sensibilizzazione e l'educazione sull'importanza dell'inclusione, affrontando gli stereotipi e le percezioni negative che possono influenzare la partecipazione degli atleti con disabilità.

L'inclusione dei portatori di handicap nelle gare sportive non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di arricchimento e crescita per l'intera comunità sportiva. Celebrando la diversità e l'abilità di ogni individuo, possiamo creare un ambiente sportivo che accolga e sostenga la partecipazione di tutti, promuovendo valori di solidarietà, rispetto e uguaglianza. In un mondo di opportunità e sfide condivise, lo sport diventa un catalizzatore per il cambiamento positivo e per la costruzione di una società più inclusiva e compassionevole per tutti.

Questa specifica missione significherà l'inizio di un mondo di opportunità ma anche di sfide condivise per le Associazioni Sportive che ritengono questo aspetto sociale essenziale.

lunedì 29 aprile 2024

Numeri da patologia o semplice masochismo?


1.276 km, 140.000 metri dislivello accumulati per 170 ore e passa di uscite.

Nemmeno 4 mesi del mio dispositivo gps Suunto e i numeri la dicono forse lunga sulle nuove patologie che affliggono la razza umana perché, ve lo garantisco, non sono l'unico nell'ambiente delle ultramaratone di montagna ad avere questi allenamenti registrati nell'orologio...

Più Corri, Più Soffri, Più Apprezzi: Una Lezione di Vita dalle Strade della Corsa o semplice autolesionismo con un pizzico di masochismo?

Nelle frenetiche strade della vita moderna, ci ritroviamo spesso a inseguire obiettivi, prestazioni e successi, dimenticandoci di apprezzare le piccole gioie e le esperienze quotidiane che rendono la vita davvero preziosa. Ma cosa succederebbe se rallentassimo il passo e prendessimo il tempo per riflettere sulle lezioni che possiamo imparare dalle strade della corsa.

Correre è come partecipare a una maratona di resistenza televisiva, qualcosa che non ho mai fatto ma che forse avrà i suoi aspetti positivi: ci sono momenti in cui ti chiedi perché diavolo hai iniziato, ma alla fine, ti senti un vero campione, anche se hai soltanto provocato qualche lesione al tuo fondo schiena! 

Scherzi a parte attraverso le lunghe distanze e le difficoltà incontrate lungo il cammino, impariamo a superare i nostri limiti fisici e mentali, sviluppando una resilienza e una determinazione che ci accompagnano in ogni aspetto della nostra vita, sicuramente “torniamo” alla vita normale con una illuminata (e rinnovata) percezione della nostra zona di confort.

Correre è come scalare una montagna: c'è fatica, ma gli alpinisti dicono che la vista in cima ti ripaga di tutto (peccato che nelle ultramaratone io non schiodo gli occhi da quel metro e mezzo che anticipa le punte delle mie scarpe!)...  Le gambe bruciano, il respiro diventa corto, ma nonostante tutto, continuiamo a spingerci avanti. E proprio quando pensiamo di non farcela più, scopriamo una riserva di forza interiore che non sapevamo di possedere. Questa stessa lezione si applica alla vita: attraverso le sfide e i momenti difficili, impariamo ad apprezzare le piccole gioie e i semplici piaceri che la vita ha da offrire: l'acqua calda del bidet, il frigorifero pieno, la carta igienica...



Nella corsa, il ritmo è essenziale. Correre troppo veloce è come cercare di fare un selfie mentre corri: rischi di finire nel fosso oppure investito dal camion della nettezza urbana! Troppo lento e finisci per essere superato dalle lumache. Lo stesso vale per la vita: dobbiamo imparare a rallentare il passo, a respirare profondamente e ad assaporare ogni istante senza però finire fossilizzati sul divano conoscendo a memoria la programmazione di Netflix.... Correre ci insegna l'importanza di vivere nel momento presente, di apprezzare il paesaggio che ci circonda e di trovare gioia nelle piccole cose.

In conclusione, correre è molto più di una semplice attività fisica, Correre per Vivere, Vivere per Correre: è un'esperienza che ci insegna le lezioni più preziose sulla vita stessa. Quindi, la prossima volta che calzi le scarpe da corsa e esci a fare una corsetta, anche se solo di 10minuti nel parco cittadino, ricorda di portare con te non solo il tuo corpo, ma anche il tuo spirito. Perché più corri, più soffri, più apprezzi: questa è la lezione che la corsa ci insegna sulla vita. E se incontri una lumaca sulla tua strada, ricordati di farle una foto e di condividerla sui social...



giovedì 28 dicembre 2023

Storie quasi segrete di un over 50 dedito all'ultramaratona. Condensato di esperienze.

L'asino non è forse l'animale più bello del mondo?

In famiglia mi danno dell'asino, a buon diritto direi, probabilmente penserei lo stesso se non mi conoscessi.
Per i miei paesani sono "l'àsen", il musso, il somaro che si diverte a vagare nei boschi.

Un over 50 dedito, ossessionato forse, dalla corsa in montagna e che a volte si trascina per ore sui sentieri dietro casa, su e giù per le stesse valli, avanti e indietro su sentieri conosciuti a memoria, a destra e sinistra per le stesse biforcazioni, per il semplice gusto di ripercorrerle per la millesima volta, alcuni forse per la milionesima, e solo per il fatto, verrebbe da dire, “perché sono li…”

Ho usato il termine "si trascina", ma l'ho fatto di proposito. A volte, ma anche spesso sarebbe opportuno dire, nel mio caso il gesto atletico della corsa in montagna degenera in altre espressioni di questo sport, alcune evitabili, altre inevitabili:

Crisi glicemiche, di fame, di stanchezza, da dolori muscolari o articolari, da tensioni sia fisiche che psicologiche e via discorrendo. Vi è una condizione particolare, che solo chi pratica sport di endurance conosce, alla quale io ho dato una definizione specifica ma che rende l'idea: disagio. La sensazione di trovarsi fuori posto, mal collocato, spersonalizzato, inutile. Una sorta di "mal de vivre", di "spleen" con tutti travagli del caso ma privo di connotazione poetica...


Nonostante questi risvolti amo questo sport, hai due ore libere: puoi prenderti il lusso di correre (o trascinarti) per 1 ora e 57 minuti…a volte arrivo in call con ancora addosso i pantaloncini da running, i calzini sporchi e un bel calo di qualche tipo in corso….la puzza per fortuna ancora non si sente su google meeting e le crisi si possono occultare spegnendo temporaneamente il video scaricando la colpa sulla cattiva connessione.


Una volta praticavo il windsurf a livello agonistico, uno sport bellissimo ma che operativamente si potrebbe definire un infortunio logistico: nel tempo che avevo libero il vento o era troppo o troppo poco, quando era giusto veniva dalla parte sbagliata e ovviamente se ero impegnato in un appuntamento (di qualunque tipo, dal professionale al sentimentale) era statisticamente certo che sarebbe caduto nell’ora, del giorno, del mese, del decennio con le condizioni meteo marine migliori che si fossero mai viste. Ogni tentativo di rifiutare l'evidenza veniva demolito da amici e pseudo tali che invece avevano avuto la fortuna di poter navigare...e che non mancavano di fartelo notare. 

Insomma era la materializzazione della legge di Murphy, sulla tua pelle e a caro prezzo.

Quando iniziai a correre in montagna lasciai istantaneamente dietro di me tutte queste limitazioni, e quello che sarebbe dovuto essere uno sport alternativo al windsurf divenne ben presto lo sport principale e poco dopo naturalmente anche l’unico. 


Dal punto di vista economico il confronto non meriterebbe nemmeno di essere analizzato, vele, alberi, pinnette e tavole da cambiare ogni anno, più per moda che per effettivo sviluppo tecnologico o peggio per logoramento dei materiali: gli investimenti di un anno nel windsurf durano quanto una vita intera di un runner, anche se della categoria ultra e del trail di montagna. 

Nell’attesa del vento poi, o per la frustrazione di vederlo sparire troppo in fretta, si abbracciavano cattive abitudini come fumare, ubriacarsi, ingozzarsi di junk food, bestemmiare, dedicarsi agli atti vandalici, picchiarsi…altro che sport da ragazzi in forma con addominali scolpiti e capelli lunghi biondi, occhi biondi, denti biondi come il bambino ariano della Kinder degli anni ’80.


Ricordo ancora la prima impressione che ebbe mia moglie (reduce da un passato agonistico nel nuoto ad alti livelli), allora solo “morosa” come diciamo noi Veneti, quando accompagnandomi in una tappa del mondiale PWA (il mondiale della specialità slalom) in Korea mi disse: ma questi che professionisti sono? Han quasi tutti il ventre da birra e la faccia da chi mangia würstel con patatine fritte con eccessiva frequenza (e il bello è che aveva perfettamente ragione).

Anch'io, pur facendo palestra e navigando parecchio, non ero certo l'espressione della salute: pesavo 96 kg e avevo la pressione, oltre che colesterolo, alle stelle e soffrivo di attacchi di panico. 

Ora di kg ne peso 69 (gli stessi due numeri ma decisamente in un ordine più accattivante) e sono bradicardico...ma soffro come Fantozzi ancora di visioni a sfondo mistico, soprattutto durante le ultramaratone.


Mi si chiede spesso come si faccia ad “allenarsi” tutti i giorni senza stufarsi: il primo segreto è non chiamarli così. Allenamento ha un qualcosa di programmato, necessario, obbligato…io vado a correre: punto.

Odio le tabelle e forse è proprio perché la mia attività di investitore prevede pianificazione e razionalità che amo il puro istinto che la corsa regala.


A volte "in allenamento" come spiegato prima e consentite il francesismo, faccio letteralmente schifo, altre mi sento invincibile, nella media però direi che vado ad "asino" (sguardo rassegnato e leggermente vacuo con sbuffo perenne e una esagerata attenzione ai segnali che manda il mio, ormai di mezzo secolo, fisico.

Non vi è mai un giorno uguale all’altro, un momento ripetitivo, un passo identico a quello di prima. Gli stessi sassi sui sentieri dietro casa, quelli visti e rivisti milioni di volte dei quali riconosco le venature e la forma del muschio che li ricopre, soltanto in base all’inclinazione del sole e alle ombre che li esaltano, oppure alle sensazioni che sto provando in quel preciso istante,  offrono prospettive differenti: ed è qui il segreto del mio entusiasmo nella corsa e di conseguenza, mi verrebbe da dire, nella Vita.


Cercare la perfezione non ha senso se poi non riusciamo a goderci il filo d’erba più lungo della media nel praticello di casa e scappato chissà come alla spietata precisione del rasaerba. Lo stesso filo d’erba che ieri piegato dal vento si mimetizzava assieme a tutti gli altri e che oggi magari ospita una goccia di rugiada. Un "eletto" portatore di bellezza.


Correre aiuta a risolvere i problemi, a volte ne crea di nuovi, come in un rompicapo matematico cercare di trovare la soluzione ad un enigma apre la porta a centinaia di altri…per fortuna a volte un camoscio con il suo verso alieno interrompe i miei pensieri, altre volte è la sosta obbligata per un bisogno fisico oppure una zecca che subdolamente sta risalendo il polpaccio a farlo. Se la corsa di lunga distanza fosse soltanto trascendenza, come sostiene qualcuno, saremmo punto a capo: identificabili come insieme coeso, prevedibile.

Non è il mio caso.


Ci sono poi le competizioni, un sano momento di sfida e di ricerca del gesto agonistico, spesso un confronto con atleti di venti, anche trent’anni più giovani. Nessun rimpianto, anzi, ogni volta un’occasione per vantarsi forse del fatto che da over 50 sono ancora li, a giocarmela con ragazzi che tranquillamente hanno l’età delle mie figlie più grandi e che io come vecchio asino sono ora probabilmente più in forma di quando era un giovane puledro.


Siamo a fine anno, tempo di chiudere la cartella riferita alla denuncia dei redditi del periodo fiscale in corso e ovviamente di bilanci anche dal punto di vista sportivo:

Nei 2023 ho corso 11 gare di montagna  tra i 43 e i 120km con dislivelli accumulati tra 3200 e 9000 metri+ ciascuna, vinto 3 titoli italiani IUTA della mia categoria, migliorato il mio punteggio percentuale ITRA che mi posiziona ora nel 1,3% dei corridori trail nel mondo, vinto il circuito ultra Grandprix italiano. Durante le mie uscite quotidiane avrò accumulato tranquillamente più di 3.000km e chissà quanto dislivello...insomma tutta Italia nella sua lunghezza (montagne comprese) e un paio di volte almeno (e solo quest'anno).


Meri risultati che contano veramente poco, perché sono naturale conseguenza del fatto che non mi alleno per gareggiare ma gareggio perché alla fine mi sento allenato. Il risultato, come nella regola commutativa dell'addizione, non cambia, ma è forse l'attitudine a farlo.


Atleticamente, anche se sembra impossibile vista la mia età, sto migliorando: questo sia da stimolo a chi, magari a 40 anni o peggio 30 pensa sia troppo tardi per rimettersi in gioco, nello sport, nel lavoro, ma anche nella Vita di tutti i giorni. Abbiamo tutti lo stesso potenziale: un paio di gambe, un cervello, un cuore e uno sfintere e non vedo perché si possa pensare che quelli degli altri siano diversi dai nostri e funzionino meglio. Forse è soltanto la forza di volontà a fare la differenza, ma quella la si acquisisce con il sudore della fronte, la resilienza, la flessibilità e anche un pizzico di ignoranza mescolata a della sana ironia. 


Nonostante tutto questo impegno apparente, ho continuato comunque a fare il padre e il marito, seguito il mio lavoro, gestito la mia proprietà, dato da mangiare al cane e lasciato il bagno di casa pulito dopo averlo magari malamente usato (ho solo figlie femmine sensibili al tema) ma soprattutto non ho mai perso entusiasmo per questo dono prezioso che è la Vita in famiglia.


Quando arriva sera e il buio prende il posto della luce penso che l'ennesimo giorno è finito e che in fondo, chissà come, avrei comunque potuto far qualcosa di più...ma che per fortuna il domani è già alle porte e riuscirò senz'altro a recuperare....    L'asino, quando chiude gli occhi del resto, a cosa anelerà mai?


lunedì 4 dicembre 2023

Caro Babbo Natale: Sotto l'albero vorrei (avrei voluto avere) come regalo un rendimento decente.

Babbo Natale ci (aveva) anticipato dei rendimenti certi e noi li abbiamo rifiutati. Vuoi il pacco o la busta? La busta.

Inutile tergiversare, questa è una certezza che, come sempre avviene sui mercati finanziari, si manifesterà ai più troppo tardi.

Erano confezionati in una bella carta colorata e decorati da un bel nastro, ma non erano accompagnati dalle istruzioni per l'uso...inutile tergiversare, questa è una certezza che, come sempre avviene sui mercati finanziari, si manifesterà chiaramente troppo tardi.

Il momento è propizio anche a delle riflessioni: come la narrativa possa distorcere le percezioni. Siamo stati veramente così sicuri che si sarebbero avverate previsioni eccessivamente pessimistiche oppure come animali abbiamo soltanto seguito l'istinto atavico di non agire solo perché i nostri simili facevano lo stesso? Trovo bizzarro, leggendo articoli che mi sono personalmente conservato, come il problema del secolo (forse del millennio) sarebbe stato per privati ma anche fondi, assicurazioni e banche la ricerca spasmodica del rendimento, in un mondo condannato per l’eternità ai tassi zero. 

Nacquero così i Bond perpetui al 1%, quelli legati all’inflazione, fondi a scadenza con capitale protetto che, considerate le provvigioni, ora rendono il - (meno) qualcosa, piani alternativi pensionistici dalle performance alla luce dei fatti vergognose al limite dell’osceno, prodotti derivati astrusi e complicati legati a condizioni if/then talmente confuse da lasciare basiti e poi, ovviamente, gli indebitamenti a tasso variabile per investire sull'immobiliare (tanto gli Euribor non saliranno mai più).

Ora che questa, nemmeno a dirlo, previsione (che era una certezza?) si è sciolta come neve al sole tutti a gridare al demone del....rendimento….(e del tasso Euribor della cattiva BCE).

Siamo sicuri di essere razionali? A prescindere dai motivi che ci hanno spinto in questa situazione, alcuni talmente ovvi che nemmeno meritano di essere citati, tutti diretta conseguenza dell'incapacità, della miopia oppure dell'interesse in evidente conflitto di alcuni nostri "rappresentanti" viene da chiedersi se l'ennesimo cigno nero, sicuramente grigio (ma per alcuni bianco immacolato), non visto arrivare sia la dimostrazione dell'inutilità delle previsioni.



Complici errori madornali in campo geopolitico e un clima di (lecito) rilassamento psicologico post-pandemico siamo stati trascinati in una spirale di prezzi al rialzo che era difficilmente ipotizzabile, perlomeno utilizzando i soliti e banali modelli previsionali. 

Il nocciolo della questione è tutto qui:

Dimentichiamo troppo spesso che è lil consumatore medio a “far l’economia” e difficilmente il contrario, inoltre soprassediamo sul fatto che l’essere umano è per sua natura, irrazionale e imprevedibile, e che quindi arrivare a pagare in piena pandemia uno spritz con patatine del discount 7 euro, da mangiare con l’alza e riabbassa della mascherina per poi, qualche mese più tardi, far la fila ore per un panino spazzatura di una nota catena di fastfood e apparentemente (altre motivazioni io veramente non ne trovo) solo perché è a “sconto” sia del tutto normale.

In quanto a irrazionalità ne abbiamo viste (e ne vedremo) di tutti i colori.

Per questo spesso sorrido quando leggo proiezioni a due, cinque, dieci anni su tassi di interesse, spese famigliari, propensioni al risparmio di quella o questa categoria, in quella o questa zona del mondo. Tutte variabili che sono…variabili appunto, ma che condizionano in modo drastico e inesorabile il risultato finale.

Bisognerebbe riscrivere le regole, perché diciamoci la verità: la professione dell’analista finanziario/economico è inutile. Senz’altro, passatemi il termine, fica però superflua.

Non me ne vogliano i degni rappresentanti della stessa.

D’altronde, il concetto stesso atavico di inutilità umana trova applicazione nelle esistenze di coloro che hanno come unica certezza, mascherata da obiettivo a lungo termine, l’accumulo di potere e ricchezza fine a se stessa. 

La saggezza paesana ci ricorda attraverso innumerevoli detti che (e questa si è una certezza, forse l’unica che dovremo tenere bene in considerazione) ad un certo punto, volenti o nolenti lasceremo tutto “indietro” per presentarci nudi davanti al destino…

Magari con una valigia di bond dai rendimenti assurdi.



martedì 5 settembre 2023

Libero arbritrio e facoltà di critica.

Questi sono i miei piedi dopo 24ore 130km e 16.000 metri di dislivello accumulato in una Ultratrail. Un'immagine che forse colpirà gli animi più sensibili ma che rende l'idea.

Chi me lo ordina, cosa mi spinge, ma soprattutto che senso ha.

Niente e nessuno: facile. 

D’altronde nessun senso ha anche fumare per ridursi i polmoni come caldaie a carbone del secolo passato o bere alcolici e cristallizzare il fegato come un pezzo di granito Dolomitico, oppure intasare arterie e coronarie con residui tossici del cibo spazzatura. 

Lo si fa e basta, con l’unica differenza che le unghie nere e le vesciche si vedono, mentre fegato polmoni e colesterolo no.

Ci tengo a precisare che non sono lo stereotipo salutista ossessionato dagli sport estremi e dall'alimentazione che parte con la predica.

No.

Sono un amante del libero arbitrio, questo si, e per "deformazione professionale" in forma estrema: Il fumatore, l’alcolizzato, il drogato, l’uomo “normale” che sceglie cattivi stili di vita sa che un giorno potrebbe aver bisogno di visite mediche e cure ospedaliere, una parte probabilmente a carico della comunità, e che le sue abitudini potrebbero magari ledere interessi altrui, chissà forse esser viste come un estremo atto di egoismo.

Però è un diritto. Ed è giusto sia così.


La settimana scorsa è morto un ragazzo di soli 28anni correndo una corsa in montagna. Nemmeno una delle più dure, anzi chi è dell’ambiente sa che una trail di 45km è per chi pratica questo sport quasi la normalità. Non si può nemmeno, dal punto di vista tecnico, definirla una ultra.

I “giornalisti” no.

Arrogandosi diritti mai acquisiti, hanno dato sfoggio di una tal patetica mancanza di sensibilità verso la disgrazia accaduta da rasentare il crimine. Immediato il collegamento con un'altra tragedia accorsa, nella stessa gara, 4 anni fa, dove una ragazza perse la vita colpita da un fulmine.

Se non giuridico, il crimine commesso da questi giornalisti è perlomeno etico, senz’altro umano.

Un’accozzaglia di articoli privi di qualsiasi soggettiva analisi, un copia incolla vomitevole, inumano, con dati e affermazioni inesatte, spesso stupide e scritte male. Articoli che nemmeno la più meccanica e fredda Chatgpt sarebbe in grado di scrivere.

I cervelli di questi “giornalisti”  sono riusciti a secernere, come bubboni infetti, il prodotto dell’infezione che ormai da qualche anno colpisce tutti i media.

Termini come: la levataccia (elemento di rischio cardiovascolare apparentemente) il caldo opprimente (domenica il tempo era cambiato e addirittura rinfrescato, per non parlare delle migliaia di competizioni svolte in estate che sfatano la credenza che sia il caldo ad uccidere sistematicamente) l’inumano sforzo (altra unità di misura inventata per l’occasione, visto che ultramaratone di 100 anche 200km con migliaia, ripeto migliaia di iscritti vengono regolarmente svolte ogni fine settimana in Italia); tutti termini utilizzati per un fine preciso e condito da una diagnosi, immediata, scontata, ovvia....ma inventata: infarto del miocardio per esaurimento fisico.

Diagnosi poi smentita dall’autopsia di questi giorni tra l’altro e senza che nessuna redazione abbia fatto, a tutt'oggi, una smentita di qualche sorta.

Perché non chiamarlo suicidio a questo punto?

A quando l’imbecille che proporrà magari di limitare queste attività perché “pericolose”? Un anno la Natura e ora l'ipotetico "infarto": senz'altro sarà compito di qualche mente eccelsa mediare il rischio per l'intera comunità.

Visto che ci siamo perché non vietare l'uscita di casa dalle 14 alle 16 con più di 35 gradi, dalle 22 alle 06 con meno di 5, la mattina se con traffico sopra una certa soglia, in montagna per evitare zecche, lupi e orsi? Ho l’impressione che l’accaduto nei tristi e bui anni 2020/2022 abbia letteralmente rattrappito l'intelligenza umana devastando il concetto di flessibilità della specie. 

#stiamoacasa?

Sono l’unico nel volersi ribellare a questo scempio etico? Non una parola di conforto, di condoglianze, di Pietà Cristiana. Come se la persona vittima di questa tragica fatalità non fosse più nemmeno un essere umano, con famiglia, parenti amici. Un oggetto inanimato utile ad attrarre qualche click, mera merce di scambio.

Superficialità mediatica all’ennesima potenza, ma ormai è solo vomito.


Finitela con i vostri pop-up che mi chiedono di sottoscrivere l'abbonamento: il disservizio e la disinformazione che ormai sistematicamente e quotidianamente svolgete è si l’espressione di un disagio esistenziale: ma soltanto
vostro.

martedì 25 luglio 2023

Trans D'Havet TDH 81km 5.800+ ovvero su e giù per le piccole Dolomiti in meno di 14 ore

Mi si chiede cosa si provi a fare una ultra maratona di montagna, ne approfitto per descrivere la mia ultima (se non erro la sesta o la settima del 2023) quella di sabato appena trascorso che rende piuttosto bene l'idea: basicamente infatti, con qualche variazione relativa a sensazioni di morte e svuotamento psicofisico totale condito da attacchi di ipoglicemia e cadute queste gare sono tutte uguali. Mi si chiede inoltre cosa spinga un padre di famiglia, apparentemente equilibrato e "normale" a cimentarsi in queste imprese e soprattutto come queste possano ottimizzare il proprio portafoglio di investimenti. Onestamente a questa ultima domanda non so ancora rispondere, (anche se sembra funzionare) ma prometto che ci lavorerò sopra....



TDH 81km 5700+ in 13h45m campionato italiano IUTA ultra trail large 300iscritti 33overall 3 di categoria. Matematicamente un sacco di 3: è arrivato il momento di sviluppare un algoritmo. Parto con l’idea di essere un purosangue ma poche ore mi bastano per tornare ad essere un asino di prima categoria.

Km10 ho il pepe al culo (passate il francesismo ma è necessario per rendere l'idea dello stato di estasi causato a volte da eccesso di ormoni) e vado come un treno, metto a tacere il buon senso superando nomi blasonati (che poi all'arrivo mi daranno mezz'ora o più). Brutta bestia l'illusione, nel business ma anche nello sport…

Km20 in piena notte esco dal tracciato (non ho smarrito il percorso, sono proprio caduto in un canalone cospargendo nel raggio di 20m2 frontale, telefono, pettorale, barrette, buff..sembrava fosse precipitato un Piper) brutta botta al ginocchio sinistro con taglio (riparato col nastro isolante).

Km30 attacco di narcolessia tipo alcolista al terzo giorno di delirium tremens e mi addormento in piedi salendo le 52 gallerie del Pasubio..consiglio: tenete in questi casi la destra, il capo ciondolante sbattendo contro la roccia funzionerà da sveglia ed eviterete di passare dal sonno alla morte (condizione di pietà Cristiana che per ora preferisco accantonare) precipitando per un migliaio di metri nella valle sottostante.

Km 40 il ginocchio sinistro, in seguito all’incidente aereo, mi costringe a correre in discesa “di lato” (una variante curiosa della classica)e ben presto mi ritrovo con il lato destro del corpo sovraccaricato. Non una parte in particolare:tutto quanto tipo ictus, testicolo compreso. 

Km 50 mi ritiro, dico al mio corpo stremato, giuro che questa volta mi ritiro prometto al mio ego dormiente, alla Fede che nonostante sia notte fonda segue come un pastore premuroso (non il prete ma il professionista pastore, quello dei pascoli) il proprio mulo impegnatosi in questa minchiata. Poi ovviamente non lo faccio (ritirarmi), confermandomi che in gara sono un bugiardo patologico. E poi vuoi mettere il delegato Veneto nonché membro della stessa IUTA, colui che ha voluto la Trans D’havet come campionato italiano extra large che nemmeno arriva in fondo? Probabilmente lo farei anche strisciando, ma riconoscerlo a se stessi e soprattutto spiegarlo all’istinto di intelligenza (non sopravvivenza, parlo di quella parte del nostro cervello che regola gli stili di vita riuscendo a discernere tra le stupidaggini da fare e soprattutto quelle da NON fare) diventa impresa ardua tanto quella da portare in fondo una ultra come questa.

Km 60 i forestali vorrebbero arrestarmi per atti osceni in luogo pubblico (ma è solo la mia mano che ”scivola” sui genitali per rimettere i testicoli a posto).

Km70 arriva il temporale, il delirio diventa delirante facendomi delirare. Fango, radici stregate che si muovono al tuo passaggio, pietre senzienti dotate di volontà propria. Cado altre volte, perdo il conto, sono cotto come una sardina sotto sale: mancano solo 5km ma diventano eterni. Giuro che non farò più altre Ultratrail, che senso ha soffrire così tanto? Solo per coltivare la resilienza e aumentare la fiducia nei propri mezzi? Meglio iscriversi ad un corso motivazionale su YouTube da seguire sul divano di casa perché uscire di casa è sconsigliato (per qualche emergenza a caso, sceglietela voi, climatica ambientale sanitaria). 


Arrivo perfino a rifiutare il responso del gps che mi suggerisce che la mia corsa é più simile all’andatura di un anziano che cerca di fuggire dalla lunga degenza munito di deambulante che altro...mi superano in molti che nemmeno mi chiedono più come va, probabilmente per non infierire sul mio già affranto orgoglio più che per altruismo vero e proprio.

Km 80 è finita. Non mi iscriverò mai più ad una ultra!  Giusto? Sbagliato: è stato solo un allenamento lungo per la prossima tra un mese: l’ennesima avventura che ha già dei numeri da togliere il sonno (intanto io posso postare con fierezza il mio fitness level di oggi con quasi 130.000 passi fatti). 

Workout done, just do it, no pain no gain, ma andate tutti a quel paese…


domenica 2 luglio 2023

La linea migliore che unisce A con B: Integrità morale nell'ultra distanza (e nella vita di tutti i giorni).

 


Le gare di corsa su lunga distanza sono una forma di competizione che richiede disciplina, impegno e rispetto delle regole. Uno degli atti più scorretti che si possono compiere durante una gara di ultra running, quasi inutile dirlo, è il taglio del percorso: una "trovata" che quando messa in pratica violenta quel principio fondamentale di lealtà in grado di compromettere l'integrità sportiva di una persona nel suo insieme.

La lealtà è infatti un valore fondamentale, nella vita di tutti i giorni ma anche nello sport, perché seguire il percorso designato, così come le regole sociali ed etiche, è una dimostrazione di rispetto verso il prossimo: dagli organizzatori della manifestazione agli altri partecipanti e il pubblico, dai famigliari ed amici che ci seguono o ci  conoscono a noi stessi. Tagliare il percorso è a tutti gli effetti un tradimento verso tutte queste persone, perché suggerisce una mancanza di integrità morale che difficilmente, se smascherata, può essere giustificata.

Una gara di ultra distanza deve essere vista prima di tutto come un confronto personale e parteciparvi implica la volontà di sfidarsi e superare i propri limiti. Un'impresa a tutti gli effetti, come se ne vedono tante nello sport ma anche nella vita quotidiana o lavorativa ed in ambiti completamente differenti. Correre la distanza completa è chiaramente una parte essenziale di questa sfida personale e tagliare il percorso significa quindi sottrarsi a parte di tale sfida, ottenendo un vantaggio ingiusto sugli altri concorrenti: non solo mina il concetto di equità, ma anche il senso di realizzazione personale che deriva dal completamento di una sfida personale fisica e mentale ottenuta senza imbrogliare. Inevitabile quindi che colpisca non solo chi commette l'atto sleale, ma anche le altre persone impegnate lealmente nel cercare di raggiungere il proprio obiettivo personale.  Vi è quindi un aspetto etico molto importante da valutare quando si analizzano questi comportamenti scorretti, perché se un concorrente taglia il percorso non solo influenza il posizionamento degli altri atleti ma "demoralizzandoli" può comprometterne le prestazioni minando inoltre il senso di giustizia e lealtà nei confronti dell'organizzazione che purtroppo spesso non ha la capacità di contrastare questo fenomeno (i famigerati controlli a campione sul percorso e i check point sono chiaramente insufficienti per raggiungere lo scopo, specialmente in gare particolarmente lunghe e che comprendono la notte). Situazioni sospette in questo senso sono talvolta rilevate ma pochi hanno il coraggio di denunciare ufficialmente, semplicemente perché a loro volta temono di essere accusati di egoismo o peggio di voler semplicemente avanzare in classifica scalando qualche posizione. Dal punto di vista della sicurezza poi il concorrente che esce dal percorso ufficiale può mettere se stesso e gli addetti al recupero o i volontari impegnati nell'assistenza in grave pericolo per esempio in caso di infortunio o smarrimento e per ragioni ovvie a chiunque.

Ricordo una gara alla quale partecipai anni or sono sulle montagne di casa: perfettamente cosciente della mia posizione overall e assolutamente certo di non esser stato superato, mi ritrovai negli ultimi 10 km (su una 40) a perdere 20 posizioni....una chiarissima indicazione del fatto che tutti questi concorrenti avessero tagliato ad un bivio e che non avessero effettuato gli ultimi km furono le testimonianze dei turisti che avevano incontrato personalmente la fili indiana fuori dal tracciato e degli addetti all'ultimo ristoro che semplicemente...non avevano contato tutti quei passaggi. Nonostante le proteste la classifica non fu mai modificata e il fatto mai riconosciuto...in famiglia mi fu semplicemente detto di "portare pazienza" perché l'occasione fa (purtroppo) l'uomo ladro. Beh di grazia, non tutti gli uomini ladri e opportunisti lo sono, lasciatemelo dire, risposi io con decisione.

Gli organizzatori delle gare di corsa, che hanno la responsabilità di prendere misure contro coloro che tagliano il percorso, purtroppo talvolta non lo fanno proprio perché o non ne vengono messi al corrente in via ufficiale e assodata oppure non considerano queste conseguenze con la dovuta attenzione. È importante invece che vengano implementate sanzioni adeguate per dissuadere tali comportamenti sleali e pericolosi, sia per proteggere l'integrità delle gare, sia per rispetto di tutti gli attori in gioco e la loro sicurezza. Inutile ricordare che se un concorrente è disposto a tagliare, sicuramente non sarà incline a fermarsi  perdendo tempo "prezioso" per aiutare un altro atleta in difficoltà oppure a raccogliere un rifiuto che gli è caduto sul percorso, comportamenti a loro volta disdicevoli e meritevoli di squalifica.

Le regole sono il fondamento dell'integrità nella vita e nello sport: Esse creano un terreno di gioco equo e offrono a tutti i partecipanti le stesse opportunità. Seguire le regole non è solo una questione di conformità, ma riflette il rispetto per gli altri atleti, gli allenatori, gli organizzatori, il pubblico ma anche se stessi. L'imbroglio, d'altra parte, mina l'equità e compromette il senso di giustizia che esiste in ogni aspetto della nostra vita compresa la competizione sportiva.

Il fair play, concetto che in italiano si può tradurre con gioco leale, rappresenta quindi uno dei valori morali fondamentali da incoraggiare: promuove la gentilezza, il rispetto e la considerazione per gli avversari. Significa giocare nel rispetto delle regole e accettare le decisioni degli organizzatori senza cercare di trarre vantaggio da comportamenti sleali. Il fair play incoraggia la competizione basata sulle abilità, sull'impegno e sull'onestà, creando un ambiente positivo per non solo tutti i partecipanti ma anche i famigliari degli stessi e il pubblico della manifestazione.

Il gioco leale dovrebbe insomma esser promosso come un modello di ruolo, perché gli atleti (sia professionisti che amatori), così come le squadre e gli allenatori svolgono un ruolo cruciale nell'inculcare i valori morali di non imbrogliare nello sport e di conseguenza nella vita di tutti i giorni. Quando i modelli di ruolo mostrano un comportamento etico, dimostrano che la vittoria ottenuta con mezzi disonesti ha un valore effimero e che l'integrità è fondamentale per il successo duraturo, aspetti importantissimi anche nella vita quotidiana. Gli atleti e gli imprenditori che si impegnano a giocare pulito e a rispettare le regole diventano fonti di ispirazione per i giovani che cercano di avviarsi a una carriera sportiva o lavorativa. L'integrità nello sport e nella vita è un pilastro fondamentale per mantenere una competizione equa e onesta. I valori morali di non imbrogliare, basati sul rispetto delle regole e sul fair play, sono fondamentali per preservare l'integrità e il significato profondo della stessa esistenza umana.